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Attualità - Internet
Ora anche i minori possono chiedere al Garante della privacy il blocco preventivo di contenuti intimi
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<blockquote data-quote="Ilaria Liberatore" data-source="post: 449"><p><img src="https://images.wired.it/wp-content/uploads/2021/02/05000922/cyberbullismo.jpg" alt="cyberbullismo" class="fr-fic fr-dii fr-draggable " style="" /></p><p>(foto: Unsplash)</p><p></p><p>Ora anche i <strong>minori</strong> (dai 14 anni in su) potranno segnalare al <strong>Garante della privacy</strong> <strong>contenuti intimi personali</strong> che temono possano essere <strong>divulgati senza il loro consenso</strong>, prima ancora che avvenga l’eventuale pubblicazione. Lo stabilisce una norma inserita nel <a href="https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2021-10-08&atto.codiceRedazionale=21G00153&elenco30giorni=false" target="_blank"><strong>decreto legge Riaperture</strong></a> approvato lo scorso 7 ottobre dal Consiglio dei ministri. Un importante passo avanti nella lotta contro la <strong>diffusione non consensuale di immagini intime</strong> (erroneamente detto revenge porn, perché la parola vendetta suggerisce che ci sia stato un torto all’origine). Importante sia perché il fenomeno ormai riguarda sempre più anche i minori, sia perché rafforza, con una legge, ciò che prima era un semplice un progetto pilota frutto della collaborazione tra il <strong>Garante della privacy e i social della galassia Facebook</strong>. Ma che presenta alcune lacune.</p><p></p><h3><strong>Un segnale decisivo</strong></h3><p></p><p>Dall’8 marzo il Garante permette a qualunque maggiorenne che abbia paura di essere <strong>vittima di diffusione non consensuale</strong> di immagini o video intimi di <strong>agire preventivamente</strong>. Tramite un<a href="https://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9555911" target="_blank"> apposito modulo</a> può segnalare il contenuto e l’Autorità per la protezione dei dati personali ne<strong> blocca la diffusione</strong>, anche preventivamente, su Facebook e Instagram. Ora il decreto legge 139 estende la possibilità di usufruire di questo strumento agli <strong>over 14</strong> (prima potevano avvalersene tramite i genitori, possibilità che comunque rimane).</p><p></p><p>“<em>Un segnale che ci dimostra che piano piano si va costruendo un sistema di contrasto a questo tipo di reati strutturato per legge e che denota il desiderio di tutelare sempre più <strong>la vittima, che non deve sentirsi in colpa</strong>, ma anzi sollevata dal poter agire in via preventiva</em> – spiega a <em>Wired</em> Marisa Marraffino, avvocata esperta di reati informatici -. <em>Consiglierei questo strumento a chi, per tanti motivi, <strong>non vuole denunciare</strong>, per esempio per paura o perché dipendente affettivə dall’ex parter; a <strong>chi non riuscirebbe ad affrontare un procedimento penale</strong> perché ha problemi di ansia o depressione; infine a chi <strong>non conosce l’identità</strong> della persona con cui ha scambiato foto o video </em>(pensiamo ai casi di chat su piattaforme di gioco, ndr)”.</p><p></p><h3><strong>Come funziona l’alleanza Garante-Facebook</strong></h3><p></p><p>Il progetto pilota che vede coinvolti il Garante e i social di Zuckerberg si basa sull’uso <a href="https://www.facebook.com/safety/notwithoutmyconsent/pilot/how-it-works" target="_blank">di <strong>codici hash</strong></a>, ovvero sequenze numeriche che identificano in modo univoco la foto o il video. Il Garante riceve la segnalazione, abilita l’utente a caricare in maniera autonoma il suo contenuto su un server dedicato, dove viene “hashato”, cioè abbinato al suo codice. Il percorso non può essere fatto al contrario: dal codice hash non si può tornare alla foto o al video originari, né risalire al profilo social della persona interessata.</p><p></p><p>Questi hash vengono poi aggiunti a una <strong>black list</strong> (a cui può accedere solo un gruppo ristretto di membri del team di Facebook) e, <strong>quando qualcuno cerca di pubblicare o condividere i contenuti segnalati, viene bloccato</strong>. I contenuti originali caricati dall’utente vengono distrutti automaticamente dopo sette giorni. Veloce, infallibile e anonimo, questo meccanismo sembrerebbe perfetto. Ma non è così. Un primo limite balza subito all’occhio: per potersi tutelare, la potenziale vittima <strong>deve avere la foto o il video sul proprio dispositivo</strong>. Sappiamo che questo non succede sempre. Ma ci sono altri due punti deboli.</p><p></p><h3><strong>Gli altri social</strong></h3><p></p><p>“<em>Cosa succede con gli <strong>altri social network</strong>?</em> – fa notare a Wired Marisa Marraffino – <em>E con i numerosi <strong>siti</strong> dedicati alla diffusione non consensuale di immagini intime, dove spesso finiscono i video incriminati? E con le <strong>app di messagistica</strong>, tra cui anche <a href="https://www.wired.it/internet/web/2020/04/03/revenge-porn-network-telegram/" target="_blank">Telegram, che pullula di canali dedicati a questo tipo di contenuti</a>? Tutte queste piattaforme non collaborano e questo rende la legge poco efficace a livello pratico</em>”.</p><p></p><p>Un limite che in parte si potrebbe superare in futuro, ci spiega <strong>Guido Scorza</strong><em>, </em>dell’Autorità garante per la privacy: “<em>Un passo successivo, dopo questa legge, potrebbe essere <strong>obbligare tutti gli host di contenuti di una certa grandezza</strong>, non solo i social, a dotarsi di una tecnologia che consenta anche a loro di <strong>bloccare preventivamente la pubblicazione </strong>di un contenuto, su segnalazione dell’Autorità. Del resto con Facebook e Instagram abbiamo potuto attivare il progetto pilota perché loro utilizzavano già la tecnologia hash</em>”.</p><p></p><p>Con le app di messaggistica, invece, il tema è più delicato: “<em>Non so quanto potremo spingerci lì, perché ci sono in ballo questioni non solo tecnologiche, ma anche etiche</em> – prosegue Scorza -. <em>Quale compromesso vogliamo tra la <strong>repressione di questo genere di illeciti e la privacy?</strong> Se apriamo una porta per combattere reati a sfondo sessuale, cosa su cui possiamo essere tutti d’accordo, poi chi ci dice che questa porta non venga aperta per altri scopi?</em>”. Il riferimento è alle polemiche scatenate dal recente annuncio di <strong>Apple</strong> di voler introdurre sui suoi dispositivi il software Neural Match per <a href="https://www.wired.it/internet/web/2021/08/06/apple-icloud-materiale-pedoporno-privacy/" target="_blank">ricercare materiale pedopornografico.</a></p><p></p><h3><strong>Ogni intervento sul file modifica il codice hash</strong></h3><p></p><p>Il <strong>secondo limite</strong> della tecnologia hash è che anche una <strong>minima modifica al file</strong> (tagli, applicazione di filtri, aggiunta di sottotitoli o effetti, per citarne alcuni), o l’invio sulle app di messaggistica tramite crittografia <em>end-to-end</em>, che lo comprime, modificano automaticamente il codice. “<em>L’hash è una tecnologia che esiste da tantissimi anni, ma viene usata in modo diverso, per applicativi gestionali, non di sicurezza, perché è facilmente aggirabile</em> – fa notare Andrea Barchiesi, ingegnere elettronico, amministratore delegato e fondatore di Reputation Manager -. <em>Una soluzione potrebbe essere quella di ‘spezzare’ i video in tanti hash e quindi capire in ognuno dei singoli segmenti se c’è una manipolazione: ma questa è potenzialmente infinita, sarebbe un processo complicatissimo. Come prevedere tutte le possibili modifiche a un determinato file?</em>”</p><p></p><p>Anche i sistemi di <strong>intelligenza artificiale</strong> oggi in uso non sono ancora sufficientemente addestrati. “<em>Con alcune tecnologie si potrebbero identificare dei contenuti sospetti, poi farli vagliare da una batteria di analisti che insegnino progressivamente alla macchina perché un determinato contenuto è dannoso</em> – spiega Barchiesi – .<em>Dopo migliaia di video il computer potrebbe cominciare a riconoscere delle similarità. Ma anche lì <strong>non potrebbe stabilire con certezza alcune informazioni</strong>, per esempio se il protagonista del video è minorenne</em>”.</p><p></p><p>“<em><strong>Servono regole condivise</strong></em> – sottolinea Marisa Marraffino -. <em>Così come esistono le convenzioni per i diritti del fanciullo, ci vorrebbero convenzioni internazionali sui diritti degli utenti della rete, in modo da aggirare anche limiti territoriali e imporre alle piattaforme online regole e strumenti processuali condivisi</em>”. Sia lei che Barchiesi e Scorza sono concordi nel dire che se vogliamo tutelare tutti, <strong>tutti gli attori di questo sistema devono collaborare</strong>. “<em>Credo che niente, al giorno d’oggi, possa distruggere la vita di una persona, senza toccarla, come la diffusione non consensuale di immagini intime</em> – conclude Scorza -. <em>Mi piacerebbe molto guardare a questo progetto tra qualche anno, vederlo sempre più migliorato e sapere che ci sono persone che sono riuscite a risparmiarsi un lungo calvario di angoscia, paura e vergogna. Vorrà dire che avremo tutti fatto la nostra parte</em>”.</p><p></p><p> </p><p></p><p> </p><p></p><p>The post <a href="https://www.wired.it/internet/regole/2021/10/21/privacy-garante-minori-contenuti-intimi-consenso/" target="_blank">Ora anche i minori possono chiedere al Garante della privacy il blocco preventivo di contenuti intimi</a> appeared first on <a href="https://www.wired.it" target="_blank">Wired</a>.</p><p></p><p><a href="https://www.wired.it/internet/regole/2021/10/21/privacy-garante-minori-contenuti-intimi-consenso/" target="_blank">Link originale...</a></p></blockquote><p></p>
[QUOTE="Ilaria Liberatore, post: 449"] [IMG alt="cyberbullismo"]https://images.wired.it/wp-content/uploads/2021/02/05000922/cyberbullismo.jpg[/IMG] (foto: Unsplash) Ora anche i [B]minori[/B] (dai 14 anni in su) potranno segnalare al [B]Garante della privacy[/B] [B]contenuti intimi personali[/B] che temono possano essere [B]divulgati senza il loro consenso[/B], prima ancora che avvenga l’eventuale pubblicazione. Lo stabilisce una norma inserita nel [URL='https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2021-10-08&atto.codiceRedazionale=21G00153&elenco30giorni=false'][B]decreto legge Riaperture[/B][/URL] approvato lo scorso 7 ottobre dal Consiglio dei ministri. Un importante passo avanti nella lotta contro la [B]diffusione non consensuale di immagini intime[/B] (erroneamente detto revenge porn, perché la parola vendetta suggerisce che ci sia stato un torto all’origine). Importante sia perché il fenomeno ormai riguarda sempre più anche i minori, sia perché rafforza, con una legge, ciò che prima era un semplice un progetto pilota frutto della collaborazione tra il [B]Garante della privacy e i social della galassia Facebook[/B]. Ma che presenta alcune lacune. [HEADING=2][B]Un segnale decisivo[/B][/HEADING] Dall’8 marzo il Garante permette a qualunque maggiorenne che abbia paura di essere [B]vittima di diffusione non consensuale[/B] di immagini o video intimi di [B]agire preventivamente[/B]. Tramite un[URL='https://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9555911'] apposito modulo[/URL] può segnalare il contenuto e l’Autorità per la protezione dei dati personali ne[B] blocca la diffusione[/B], anche preventivamente, su Facebook e Instagram. Ora il decreto legge 139 estende la possibilità di usufruire di questo strumento agli [B]over 14[/B] (prima potevano avvalersene tramite i genitori, possibilità che comunque rimane). “[I]Un segnale che ci dimostra che piano piano si va costruendo un sistema di contrasto a questo tipo di reati strutturato per legge e che denota il desiderio di tutelare sempre più [B]la vittima, che non deve sentirsi in colpa[/B], ma anzi sollevata dal poter agire in via preventiva[/I] – spiega a [I]Wired[/I] Marisa Marraffino, avvocata esperta di reati informatici -. [I]Consiglierei questo strumento a chi, per tanti motivi, [B]non vuole denunciare[/B], per esempio per paura o perché dipendente affettivə dall’ex parter; a [B]chi non riuscirebbe ad affrontare un procedimento penale[/B] perché ha problemi di ansia o depressione; infine a chi [B]non conosce l’identità[/B] della persona con cui ha scambiato foto o video [/I](pensiamo ai casi di chat su piattaforme di gioco, ndr)”. [HEADING=2][B]Come funziona l’alleanza Garante-Facebook[/B][/HEADING] Il progetto pilota che vede coinvolti il Garante e i social di Zuckerberg si basa sull’uso [URL='https://www.facebook.com/safety/notwithoutmyconsent/pilot/how-it-works']di [B]codici hash[/B][/URL], ovvero sequenze numeriche che identificano in modo univoco la foto o il video. Il Garante riceve la segnalazione, abilita l’utente a caricare in maniera autonoma il suo contenuto su un server dedicato, dove viene “hashato”, cioè abbinato al suo codice. Il percorso non può essere fatto al contrario: dal codice hash non si può tornare alla foto o al video originari, né risalire al profilo social della persona interessata. Questi hash vengono poi aggiunti a una [B]black list[/B] (a cui può accedere solo un gruppo ristretto di membri del team di Facebook) e, [B]quando qualcuno cerca di pubblicare o condividere i contenuti segnalati, viene bloccato[/B]. I contenuti originali caricati dall’utente vengono distrutti automaticamente dopo sette giorni. Veloce, infallibile e anonimo, questo meccanismo sembrerebbe perfetto. Ma non è così. Un primo limite balza subito all’occhio: per potersi tutelare, la potenziale vittima [B]deve avere la foto o il video sul proprio dispositivo[/B]. Sappiamo che questo non succede sempre. Ma ci sono altri due punti deboli. [HEADING=2][B]Gli altri social[/B][/HEADING] “[I]Cosa succede con gli [B]altri social network[/B]?[/I] – fa notare a Wired Marisa Marraffino – [I]E con i numerosi [B]siti[/B] dedicati alla diffusione non consensuale di immagini intime, dove spesso finiscono i video incriminati? E con le [B]app di messagistica[/B], tra cui anche [URL='https://www.wired.it/internet/web/2020/04/03/revenge-porn-network-telegram/']Telegram, che pullula di canali dedicati a questo tipo di contenuti[/URL]? Tutte queste piattaforme non collaborano e questo rende la legge poco efficace a livello pratico[/I]”. Un limite che in parte si potrebbe superare in futuro, ci spiega [B]Guido Scorza[/B][I], [/I]dell’Autorità garante per la privacy: “[I]Un passo successivo, dopo questa legge, potrebbe essere [B]obbligare tutti gli host di contenuti di una certa grandezza[/B], non solo i social, a dotarsi di una tecnologia che consenta anche a loro di [B]bloccare preventivamente la pubblicazione [/B]di un contenuto, su segnalazione dell’Autorità. Del resto con Facebook e Instagram abbiamo potuto attivare il progetto pilota perché loro utilizzavano già la tecnologia hash[/I]”. Con le app di messaggistica, invece, il tema è più delicato: “[I]Non so quanto potremo spingerci lì, perché ci sono in ballo questioni non solo tecnologiche, ma anche etiche[/I] – prosegue Scorza -. [I]Quale compromesso vogliamo tra la [B]repressione di questo genere di illeciti e la privacy?[/B] Se apriamo una porta per combattere reati a sfondo sessuale, cosa su cui possiamo essere tutti d’accordo, poi chi ci dice che questa porta non venga aperta per altri scopi?[/I]”. Il riferimento è alle polemiche scatenate dal recente annuncio di [B]Apple[/B] di voler introdurre sui suoi dispositivi il software Neural Match per [URL='https://www.wired.it/internet/web/2021/08/06/apple-icloud-materiale-pedoporno-privacy/']ricercare materiale pedopornografico.[/URL] [HEADING=2][B]Ogni intervento sul file modifica il codice hash[/B][/HEADING] Il [B]secondo limite[/B] della tecnologia hash è che anche una [B]minima modifica al file[/B] (tagli, applicazione di filtri, aggiunta di sottotitoli o effetti, per citarne alcuni), o l’invio sulle app di messaggistica tramite crittografia [I]end-to-end[/I], che lo comprime, modificano automaticamente il codice. “[I]L’hash è una tecnologia che esiste da tantissimi anni, ma viene usata in modo diverso, per applicativi gestionali, non di sicurezza, perché è facilmente aggirabile[/I] – fa notare Andrea Barchiesi, ingegnere elettronico, amministratore delegato e fondatore di Reputation Manager -. [I]Una soluzione potrebbe essere quella di ‘spezzare’ i video in tanti hash e quindi capire in ognuno dei singoli segmenti se c’è una manipolazione: ma questa è potenzialmente infinita, sarebbe un processo complicatissimo. Come prevedere tutte le possibili modifiche a un determinato file?[/I]” Anche i sistemi di [B]intelligenza artificiale[/B] oggi in uso non sono ancora sufficientemente addestrati. “[I]Con alcune tecnologie si potrebbero identificare dei contenuti sospetti, poi farli vagliare da una batteria di analisti che insegnino progressivamente alla macchina perché un determinato contenuto è dannoso[/I] – spiega Barchiesi – .[I]Dopo migliaia di video il computer potrebbe cominciare a riconoscere delle similarità. Ma anche lì [B]non potrebbe stabilire con certezza alcune informazioni[/B], per esempio se il protagonista del video è minorenne[/I]”. “[I][B]Servono regole condivise[/B][/I] – sottolinea Marisa Marraffino -. [I]Così come esistono le convenzioni per i diritti del fanciullo, ci vorrebbero convenzioni internazionali sui diritti degli utenti della rete, in modo da aggirare anche limiti territoriali e imporre alle piattaforme online regole e strumenti processuali condivisi[/I]”. Sia lei che Barchiesi e Scorza sono concordi nel dire che se vogliamo tutelare tutti, [B]tutti gli attori di questo sistema devono collaborare[/B]. “[I]Credo che niente, al giorno d’oggi, possa distruggere la vita di una persona, senza toccarla, come la diffusione non consensuale di immagini intime[/I] – conclude Scorza -. [I]Mi piacerebbe molto guardare a questo progetto tra qualche anno, vederlo sempre più migliorato e sapere che ci sono persone che sono riuscite a risparmiarsi un lungo calvario di angoscia, paura e vergogna. Vorrà dire che avremo tutti fatto la nostra parte[/I]”. The post [URL='https://www.wired.it/internet/regole/2021/10/21/privacy-garante-minori-contenuti-intimi-consenso/']Ora anche i minori possono chiedere al Garante della privacy il blocco preventivo di contenuti intimi[/URL] appeared first on [URL='https://www.wired.it']Wired[/URL]. [url="https://www.wired.it/internet/regole/2021/10/21/privacy-garante-minori-contenuti-intimi-consenso/"]Link originale...[/url] [/QUOTE]
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