Dittatori eccentrici, manifesti politici che si ispirano a meme, versioni di lusso di smartphone per il centenario del Partito comunista cinese, lo screen di uno scambio di mail “tra weeb cinesi e le brigate al-Qassam (l’ala militare di Hamas) in cui promettono donazioni in Bitcoin per avere in cambio la loro anime girl stampata sui razzi”. In stile spot: questo e altro su Iconografie, XXI secolo, account Instagram (@iconografiexii) che è – lo cito – un “centro studi sul 21esimo secolo”, nonché “spazio di ricerca e rivista indipendente su cultura, estetiche & eccentricità del presente”. Cioè? “Una raccolta di immagini weird, assurde, che coi loro contrasti estetici e culturali raccontano lo spirito dei tempi”, spiega Mattia Salvia, giornalista classe 1990 e mente del progetto, attivo dal 2019 dopo una vita precedente più amatoriale su Facebook.
E la linea editoriale – dice – è la stessa dei tabloid, delle notizie curiose che pubblicano, “solo con un taglio più alto, con chiavi di lettura che mostrino trend politici e sociali” e attenzione “a quanto succede nel mondo, piuttosto che in Italia”. Ne viene fuori un archivio digitale, appunto, in presa diretta e in ordine cronologico, con le stranezze di questi anni in foto. “Del resto”, commenta, “il mondo comunica così e Instagram si presta a ciò, oltre a funzionare da archivio. Ed è un lavoro a metà fra cronaca e catalogazione storica, ricerca. Infatti molti contenuti che posto non finirebbero sui giornali, perché ritenuti marginali. Pensiamo al caso di Jurgen Conings: sui media c’è la sua storia, non l’altare che gli hanno dedicato i negazionisti del Covid. Eppure sono dettagli del genere a spiegare lo spirito del tempo”. Per questo, allora, Iconografie, XXI secolo ragiona con gli occhi di uno storico del futuro, salvando dal flusso immagini misconosciute insieme ad altre già famose come la vignetta cinese sul G7, “in modo da avere molto da comunicare a chi ci studierà”.
Antivaccinisti americani che fanno falò con una siringa gigante (screenshot YouTube)
A proposito: ma con che criterio sceglie il materiale da condividere? “In base ai trend: se la foto in questione si inserisce in uno già esistente, se ne può generare uno nuovo”. Chiaro che, per un “centro studi sul 21esimo secolo”, la dinamica di postare solo con una breve descrizione possa risultare limitante nell’analisi dei trend. Per questo – dopo aver sperimentato con una fanzine – Iconografie, XXI secolo è diventata anche una rivista trimestrale, “per spaziare e approfondire staccandoci dalla cronaca stringente, con saggi di esperti che fanno da filo rosso ai vari casi studio e ai contributi inediti di varie firme”. L’ultimo numero, per esempio, passa in rassegna l’uso politico delle automobili. “E poi, per quanto riguarda la linea editoriale dell’account, c’è la questione estetica: molti contenuti finiscono in pagina perché uniscono elementi diversi, secondo il contrasto iconografico e culturale proprio di questa epoca”, puntualizza l’autore. Tipo? “I jihadisti con gli zaini di Hello Kitty”.
C’è anche da riderne, insomma. E se oggi il progetto conta oltre trentamila like, il motivo del successo – concordiamo – è tanto nella qualità in sé quanto nell’effetto ironico, persino grottesco, di certi post. A volte dovuto agli accostamenti, più spesso all’eccentricità. “La verità”, dice Salvia, “è che i social hanno tolto l’egemonia culturale all’Occidente, garantendo la possibilità di dire la propria a posti che prima recepivano la nostra cultura senza poter rispondere. E ciò che proviene da lì, visto da noi, ci sembra assurdo e divertente. Ma è colpa del nostro approccio. Al di là di questo, credo che per la prima volta stia nascendo una cultura globale vera. Poi, chiaro, gli elementi che ne fanno parte condivido ancora un’eccentricità oggettiva di fondo, adatta a farsi notare dagli occidentali. Nel senso: se diventano virali è perché ti lasciano shockano, tipo il video del colpo di stato in Myanmar”.
Pure perché, se è vero che “elementi di stranezza sono sempre esistiti”, per lui “nell’ultimo decennio sono aumentati”. Ed è – spiega – a causa dell’iperconnessione, di un “caos sistemico globale” in cui è “difficile distinguere trend precisi, perché si influenzano l’un l’altro rapidamente”. Un esempio? “In molti paesi il meme dei becchini ghanesi non è più un meme, ma viene inscenato in piazza come un flashmob. Per commentare l’attualità, celebrando funerali simbolici magari di una moneta, o di un politico”.
Appunto, però, lo spirito dei tempi. E soprattutto l’estetica, l’estetica dei contrasti. Che ha scoperto, in merito, la ricerca di Iconografie, XXI secolo? “Che è in corso una progressiva fusione delle immagini della vita reale con quella di internet. È il caso del presidente di El Salvador, ritratto con degli occhi-laser dopo aver dato corso legale ai bitcoin, neanche fosse un meme; di manifesti che riprendono grafica e riferimenti di videogiochi; e dei talebani che si fotografano su una collina identica a quella dello sfondo di Windows Xp. Per non parlare della parlamentare cilena che ha eseguito la Naruto run in aula, o dell’organizzazione concreta di una Josh Fight”.
Resta da capire, allora, come verranno raccontati questi anni in cui la barriera fra virtuale e reale è venuta meno, che cosa penserà uno storico del 3000 (anche) di fronte a un archivio del genere. Salvia nicchia: “Bisogna prima capire se riusciremo a superare questo secolo; il disfacimento delle egemonie di oggi non è detto porti a un nuovo periodo di ordine domani – potrebbe esserci il caos, come scriveva Giovanni Arrighi nel 2009”. Vero, però? “In generale, credo sarà raccontato come un momento di transizione. Il periodo a cavallo fra il 1990 e il 2008, invece, come una seconda Belle Époque: una limitata parentesi di felicità che si credeva potesse diventare standard. Trump e i vari populismi ci sembrano anormali, invece verranno ricordati come normali. D’altro canto, venticinque anni fa una pagina così non avrebbe avuto senso, perché la storia pareva essersi fermata perlomeno a Occidente. Ora è ripartita”. E Iconografie, XXI secolo ne è testimone delle piccole assurdità.
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E la linea editoriale – dice – è la stessa dei tabloid, delle notizie curiose che pubblicano, “solo con un taglio più alto, con chiavi di lettura che mostrino trend politici e sociali” e attenzione “a quanto succede nel mondo, piuttosto che in Italia”. Ne viene fuori un archivio digitale, appunto, in presa diretta e in ordine cronologico, con le stranezze di questi anni in foto. “Del resto”, commenta, “il mondo comunica così e Instagram si presta a ciò, oltre a funzionare da archivio. Ed è un lavoro a metà fra cronaca e catalogazione storica, ricerca. Infatti molti contenuti che posto non finirebbero sui giornali, perché ritenuti marginali. Pensiamo al caso di Jurgen Conings: sui media c’è la sua storia, non l’altare che gli hanno dedicato i negazionisti del Covid. Eppure sono dettagli del genere a spiegare lo spirito del tempo”. Per questo, allora, Iconografie, XXI secolo ragiona con gli occhi di uno storico del futuro, salvando dal flusso immagini misconosciute insieme ad altre già famose come la vignetta cinese sul G7, “in modo da avere molto da comunicare a chi ci studierà”.
Antivaccinisti americani che fanno falò con una siringa gigante (screenshot YouTube)
A proposito: ma con che criterio sceglie il materiale da condividere? “In base ai trend: se la foto in questione si inserisce in uno già esistente, se ne può generare uno nuovo”. Chiaro che, per un “centro studi sul 21esimo secolo”, la dinamica di postare solo con una breve descrizione possa risultare limitante nell’analisi dei trend. Per questo – dopo aver sperimentato con una fanzine – Iconografie, XXI secolo è diventata anche una rivista trimestrale, “per spaziare e approfondire staccandoci dalla cronaca stringente, con saggi di esperti che fanno da filo rosso ai vari casi studio e ai contributi inediti di varie firme”. L’ultimo numero, per esempio, passa in rassegna l’uso politico delle automobili. “E poi, per quanto riguarda la linea editoriale dell’account, c’è la questione estetica: molti contenuti finiscono in pagina perché uniscono elementi diversi, secondo il contrasto iconografico e culturale proprio di questa epoca”, puntualizza l’autore. Tipo? “I jihadisti con gli zaini di Hello Kitty”.
C’è anche da riderne, insomma. E se oggi il progetto conta oltre trentamila like, il motivo del successo – concordiamo – è tanto nella qualità in sé quanto nell’effetto ironico, persino grottesco, di certi post. A volte dovuto agli accostamenti, più spesso all’eccentricità. “La verità”, dice Salvia, “è che i social hanno tolto l’egemonia culturale all’Occidente, garantendo la possibilità di dire la propria a posti che prima recepivano la nostra cultura senza poter rispondere. E ciò che proviene da lì, visto da noi, ci sembra assurdo e divertente. Ma è colpa del nostro approccio. Al di là di questo, credo che per la prima volta stia nascendo una cultura globale vera. Poi, chiaro, gli elementi che ne fanno parte condivido ancora un’eccentricità oggettiva di fondo, adatta a farsi notare dagli occidentali. Nel senso: se diventano virali è perché ti lasciano shockano, tipo il video del colpo di stato in Myanmar”.
Pure perché, se è vero che “elementi di stranezza sono sempre esistiti”, per lui “nell’ultimo decennio sono aumentati”. Ed è – spiega – a causa dell’iperconnessione, di un “caos sistemico globale” in cui è “difficile distinguere trend precisi, perché si influenzano l’un l’altro rapidamente”. Un esempio? “In molti paesi il meme dei becchini ghanesi non è più un meme, ma viene inscenato in piazza come un flashmob. Per commentare l’attualità, celebrando funerali simbolici magari di una moneta, o di un politico”.
BREAKING: The Taliban have captured the Windows XP wallpaper pic.twitter.com/2fSKi4bb1T
— Hugo Kaaman (@HKaaman) April 22, 2021
Appunto, però, lo spirito dei tempi. E soprattutto l’estetica, l’estetica dei contrasti. Che ha scoperto, in merito, la ricerca di Iconografie, XXI secolo? “Che è in corso una progressiva fusione delle immagini della vita reale con quella di internet. È il caso del presidente di El Salvador, ritratto con degli occhi-laser dopo aver dato corso legale ai bitcoin, neanche fosse un meme; di manifesti che riprendono grafica e riferimenti di videogiochi; e dei talebani che si fotografano su una collina identica a quella dello sfondo di Windows Xp. Per non parlare della parlamentare cilena che ha eseguito la Naruto run in aula, o dell’organizzazione concreta di una Josh Fight”.
Resta da capire, allora, come verranno raccontati questi anni in cui la barriera fra virtuale e reale è venuta meno, che cosa penserà uno storico del 3000 (anche) di fronte a un archivio del genere. Salvia nicchia: “Bisogna prima capire se riusciremo a superare questo secolo; il disfacimento delle egemonie di oggi non è detto porti a un nuovo periodo di ordine domani – potrebbe esserci il caos, come scriveva Giovanni Arrighi nel 2009”. Vero, però? “In generale, credo sarà raccontato come un momento di transizione. Il periodo a cavallo fra il 1990 e il 2008, invece, come una seconda Belle Époque: una limitata parentesi di felicità che si credeva potesse diventare standard. Trump e i vari populismi ci sembrano anormali, invece verranno ricordati come normali. D’altro canto, venticinque anni fa una pagina così non avrebbe avuto senso, perché la storia pareva essersi fermata perlomeno a Occidente. Ora è ripartita”. E Iconografie, XXI secolo ne è testimone delle piccole assurdità.
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