Wired Italia Twitter è finito nel mirino di chi vuole abolire il sesso da internet

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(Photo Illustration by Rafael Henrique/SOPA Images/LightRocket via Getty Images)

OnlyFans può anche essere tornata sui propri passi per quanto riguarda la decisione di escludere i contenuti sessualmente espliciti, ma la lotta della galassia sex worker per il diritto di esistere e lavorare online è ancora tutta da combattere. E il prossimo campo di battaglia sembra essere Twitter, l’ultima piattaforma mainstream a non bandire i contenuti sessualmente espliciti.

Assalto a Twitter​


Non appena è stata diffusa la notizia secondo cui OnlyFans da ottobre non avrebbe più permesso ai creator di pubblicare contenuti per adulti, infatti, le organizzazioni che hanno esercitato pressioni su MasterCard e Visa affinché si distanziassero dai siti che ospitano porno online hanno iniziato a puntare i riflettori sulla piattaforma di Jack Dorsey. “Visto che stiamo parlando di OnlyFans, dovreste tutti sapere che anche Twitter distribuisce pornografia illegale”, ha twittato Laila Mickelwait, director of abolition dell’organizzazione cristiana per l’abolizione del lavoro sessuale Exodus Cry: “Su tutti questi siti ci sono abusi sessuali su minori, stupri e traffico di esseri umani, perché non verificano età e consenso per il caricamento di materiale pornografico”.

Un paio di giorni dopo, una corte della California ha dato il via libera a una causa contro Twitter portata avanti dal National center on sexual exploitation (Ncose), un’organizzazione che collabora regolarmente con Exodus Cry in campagne contro la pornografia e il sex work online.

Secondo la causa, fatta a nome di due uomini che avrebbero inviato inconsapevolmente proprie foto esplicite (poi finite su Twitter) a un trafficante su Snapchat quando avevano 13 anni, la compagnia “ha consapevolmente ospitato materiale di sfruttamento sessuale, compreso materiale pedopornografico […]”, consentendo che rimanesse “sulla sua piattaforma, traendo profitto da questi materiali dannosi e dal traffico che generano sul sito”. I due querelanti affermano che, nonostante avessero contattato sia la polizia sia le forze dell’ordine, i tweet sono rimasti online per nove giorni, accumulando 167mila visualizzazioni.

La strategia degli abolizionisti​


Secondo i dati forniti da Twitter, nel 2020 sono stati oltre 65mila i contenuti pedopornografici segnalati sulla piattaforma a livello globale. Il fatto è non si tratta di un problema legato all’apertura di Twitter verso i contenuti espliciti. Facebook, per esempio, ha delle regole rigidissime contro il nudo sui social, eppure nello stesso anno ha affermato di aver ricevuto oltre 20,3 milioni di segnalazioni di contenuti pedopornografici sulle proprie piattaforme. Perché, allora, prendersela con Twitter nello specifico?

Per Allie Awesome, attivista per i diritti delle sex worker che è stata tra le prime a segnalare l’offensiva contro Twitter, la risposta è semplice: “Cerchiamo di essere chiari: secondo i dati del National center for missing & exploited children, la stragrande maggioranza delle segnalazioni di pedopornografia arrivano da Facebook. Che, ironia della sorte, vieta i contenuti sessualmente espliciti. Penso che sia possibile affermare che vietare la pornografia non sia particolarmente efficace nel frenare i contenuti illegali. Credo che Ncose abbia scelto Twitter, e non Facebook, perché Twitter ha contenuti per adulti visibili e legali: ma l’obiettivo sembra non essere quello di mettere fine alla pedopornografia. Il loro obiettivo è fermare il lavoro sessuale”, ha detto a Wired.

Se si leggono i dati e si ascoltano le storie dei sopravvissuti è innegabile che esistano contenuti illegali sulle piattaforme di social media. Credo che la responsabilità sia da attribuire ai viscidi individui che li caricano, che dovrebbero essere puniti come da legge, e credo anche che le piattaforme debbano essere molto più veloci nel rimuoverli e nel segnalarli alle autorità competenti”, continua Awesome, che si occupa del tema da oltre un decennio: “Il problema è che organizzazioni come Exodus Cry, Justice Defense Fund e Ncose sembrano voler fare terra bruciata, e alla fine mirano a vietare del tutto il porno. Confondono il lavoro sessuale con il traffico di esseri umani e il porno con la pedopornografia e i contenuti non consensuali”.

La difesa del gruppo​


Da parte sua, Twitter ha da tempo messo in campo una serie di misure volte a proteggere la comunità dai potenziali abusi legati ai contenuti sessualmente espliciti. Gli utenti che non desiderano vederne in generale possono filtrarli, e chiunque ne carichi è tenuto a contrassegnarli come tali, pena essere sospesi o espulsi. Ci sono poi precise regole contro la nudità non consensuale (impropriamente detto revenge porn) e lo sfruttamento sessuale dei minori.

Twitter ha tolleranza zero per qualsiasi materiale che presenti o promuova lo sfruttamento sessuale dei bambini“, ha affermato recentemente un portavoce della compagnia: “Combattiamo in modo aggressivo l’abuso sessuale di minori online e abbiamo investito molto in tecnologia e strumenti per far rispettare la nostra politica. I nostri team dedicati lavorano per stare al passo e per garantire che stiamo facendo tutto il possibile per rimuovere i contenuti, facilitare le indagini e proteggere i minori dai danni, sia online che offline“.

Secondo il National center on sexual exploitation, però, non basta: “Twitter è pieno di pornografia che mitizza lo stupro, normalizza lo sfruttamento degli adolescenti da parte degli adulti e l’incesto e rafforza stereotipi sessuali degradanti a sfondo razziale. Includono anche annunci per la prostituzione in webcam e incontri di persona”, si legge sul loro sito.

Come ha sottolineato Samantha Cole su Vice, non è la prima volta che queste organizzazioni fanno leva sui casi di sfruttamento sessuale – soprattutto sui minori – per mettere pressione sulle piattaforme e marginalizzare ulteriormente i e le sex worker. Basta vedere quanto già successo con Pornhub e OnlyFans, ma anche la chiusura di molti siti di pubblicità e networking per adulti, tra cui Backpage e parti di Craigslist. Il tutto grazie all’entrata in vigore, nel 2018, del Fight online sex trafficking act (Fosta), che ritiene le piattaforme responsabili per qualsiasi contenuto a sfondo sessuale che potrebbe essere interpretato come traffico di esseri umani ai sensi della legge.

Il tutto è stato accolto con inquietudine dalla nutrita comunità di sex worker che usano Twitter sia per pubblicizzare il proprio lavoro che per mettersi in contatto con il mondo della stampa, organizzarsi politicamente e condividere importanti informazioni sugli ultimi sviluppi nel settore. A ciò si aggiunga il fatto che il social network ha recentemente introdotto una nuova funzione – i Superfollow – che permettono di remunerare i propri creator preferiti direttamente sulla piattaforma.

Se Twitter dovesse cedere alle pressioni del Ncose, sarebbe estremamente dannoso per chi lavora nell’industria del sesso”, conclude Allie Awesome: “Non solo le sex worker sarebbero finanziariamente devastate, ma perderebbero il canale di accesso ai giornalisti: Twitter è stato uno dei principali motori della comprensione culturale del lavoro sessuale. Twitter è il luogo in cui ho trovato la mia comunità e ho costruito la mia rete. L’idea di perderlo è straziante. Non posso fare a meno di credere che l’obiettivo finale di Ncose sia quello di attaccare il nostro accesso ai giornalisti e alla comunità”.

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